Quando l’integrazione del diversamente abile è ancora un handicap nel nostro paese
È abbastanza ovvio: per migliorare il processo di integrazione degli alunni con disabilità occorre rimuovere qualsiasi impedimento affinché essi possano esprimere il pieno sviluppo della loro personalità e delle loro capacità. Ciò si traduce con una puntuale progettazione individualizzata per l’alunno con disabilità che necessita della partecipazione congiunta di tutto il personale della scuola in accordo con gli Enti Locali, le ASL e le famiglie. Non sempre, tuttavia, è facile realizzare ciò che si crede giusto: molto spesso la mancanza di fondi impediscono la reale concretizzazione di una vera politica inclusiva. È facile immaginare come le precarie condizioni economiche in cui versano le risorse delle scuole si traducano con una trascuratezza dei ragazzi con disabilità viste le difficoltà a trovare i soldi persino per comprare carta, gessi e altro materiale indispensabile per il servizio di istruzione che le istituzioni scolastiche sono chiamate a svolgere. Quello che accade nel nostro scenario nazionale è infatti, come sottolinea, Salvatori Nocera, vicepresidente nazionale della Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap): l’assenza della continuità didattica degli insegnanti di sostegno e il loro arrivo con un “puntuale” ritardo rispetto all’anno scolastico – visto che vengono incaricati dal Ministero anche ad ottobre inoltrato -; le barriere architettoniche dato che in una scuola su tre il bagno non è accessibile e in un edificio su due non esiste l’ascensore – senza trascurare che quando esiste nel 14% dei casi non funziona. Sembra, allora, necessario attivarsi affinché l’integrazione non resti un appannaggio di belle parole e sogni utopici ma si declini in azioni concrete volte a promuovere una reale inclusione.
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